Il Parco degli Acquedotti è un polmone verde di Roma, situato nel quadrante sud est della città.
Ha un’estensione di circa 240 ettari, e oggi è parte del Parco Regionale dell’Appia Antica.
Come la vicina Valle della Caffarella, questo parco è un frammento dell’agro romano che ancora persiste, racchiuso tra quartieri moderni densamente popolati, tra la via Appia Antica e la via Tuscolana.
La sua importanza è dovuta al fatto che qui si incrociano i tracciati di sette antichi acquedotti, sei di epoca romana, e uno di epoca rinascimentale.
All’età medievale risale inoltre il Fosso dell’Acqua Mariana, “l’ottavo acquedotto”, le cui sorgenti sono le stesse di alcuni degli acquedotti di epoca romana.
Se non ci sei mai stato personalmente, sono certa che l’avrai già visto almeno una volta al cinema o in tv.
La scena iniziale de La Dolce Vita di Fellini, Mamma Roma di Pasolini, Il Marchese del Grillo di Monicelli, La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, sono solo alcuni dei film dove si vedono le alte arcate degli acquedotti.
La vicinanza agli studi di Cinecittà sulla via Tuscolana ha fatto sì che questo luogo venisse usato spesso come scenografia naturale, negli anni passati e ancora oggi.
Parco degli Acquedotti: un po’ di storia

Siamo fuori dalle antiche Mura Aureliane, in un’area suburbana anticamente ricca di orti, giardini e frutteti, che servivano a rifornire Roma di risorse alimentari.
Tra il II secolo a.C. e il II d.C. si assiste a una progressiva urbanizzazione della zona, con ville rustiche a scopo agricolo fatte costruire dall’alta società romana, che sfruttava la forza lavoro dei numerosi schiavi provenienti da province e bottini di guerra.
Gli acquedotti costruiti a Roma in epoca antica sono 11 in totale: il primo, quello dell’Acqua Appia risale al 312 a.C.; l’ultimo, l’Acqua Alessandrina, risale al 226 d.C.
Di questi, sei attraversano l’area del Parco degli Acquedotti, affiorando dalla superficie del terreno per raggiungere la città su grandi arcate sopraelevate: l’Anio Vetus, l’Acqua Marcia, l’Acqua Tepula, l’Acqua Iulia, l’Anio Novus e l’Acqua Claudia.
Nel Cinquecento si aggiungerà poi l’Acquedotto Felice, voluto dal papa Sisto V, che sfrutterà in parte i tracciati degli acquedotti romani.
Quest’area era attraversata anche da un’importante arteria stradale: la via Latina, che collegava Roma a Capua.
Dal 1988 il Parco degli Acquedotti è parte del Parco Regionale dell’Appia Antica, creato allo scopo di tutelare i siti adiacenti alla via Appia Antica e alcune zone limitrofe interessanti da un punto di visita naturalistico e archeologico.
I Curator Aquarum
Gli acquedotti hanno portato un’ingente quantità d’acqua a Roma per secoli.
Le monumentali arcate sono la testimonianza sia dell’alto livello tecnico e ingegneristico raggiunto dai romani, sia della potenza politica degli imperatori, i quali facevano di queste infrastrutture strumenti della loro propaganda.
In età imperiale il controllo dell’apparato idrico di Roma venne affidato ad un magistrato, il Curator Aquarum, che rivestiva una delle più alte cariche dello Stato.
Agrippa, braccio destro di Augusto, ricoprì questa carica e fece costruire due acquedotti: l’Acqua Iulia e l’Acqua Vergine.
Meno conosciuto è Sesto Giulio Frontino, vissuto nel I secolo, che fu Curator Aquarum sotto Nerva e Traiano.
Il suo nome però è importante per archeologi e studiosi perché ha lasciato un testo scritto, al quale si deve molto di ciò che oggi conosciamo sull’argomento.
Subordinati ai magistrati c’erano poi i cosiddetti aquarii, ossia personale preposto alla manutenzione degli acquedotti, divisi in categorie in base alle mansioni.
Cosa vedere al Parco degli Acquedotti
Il Parco degli Acquedotti di Roma si può percorrere a piedi o in bicicletta.
Qualsiasi momento della giornata offre viste molto belle sugli acquedotti, ma sicuramente la luce dorata del tramonto offre lo spettacolo più suggestivo.
Villa delle Vignacce

Entrando dall’accesso presso la chiesa di San Policarpo si arriva in pochi minuti alla Villa delle Vignacce.
Purtroppo quello che noi vediamo oggi non rende giustizia a quello che fu questa villa.
Risale al 125-130 d.C. e fu proprietà di Quinto Servilio Pudente, imprenditore dell’epoca, proprietario di grandi fabbriche di laterizi.
Dalla sua fabbrica provengono, ad esempio, i mattoni usati per costruire la Villa dell’imperatore Adriano a Tivoli.
I ruderi che noi vediamo sono solo l’ultimo di tre livelli sui quali si articolava questa residenza, che includeva un impianto termale, un vasto giardino e la grande cisterna, quest’ultima ancora ben visibile a ridosso dell’Acquedotto Felice.
Gli ultimi scavi risalenti al 2008-09 hanno messo in luce i livelli interrati, dai quali è stata rinvenuta anche la statua di Marsia oggi esposta al Museo della Centrale Montemartini.
Da quello che oggi vediamo è effettivamente difficile rendersi conto della grandezza e del lusso di questa residenza che, già durante gli scavi avviati dai Torlonia a fine Settecento, aveva restituito sculture di alto pregio oggi conservate ai Musei Vaticani.
Gli acquedotti

Il primo acquedotto che si incontra subito accanto alla cisterna della Villa delle Vignacce è l’Acquedotto Felice, ossia l’acquedotto rinascimentale.
Voluto da Papa Sisto V Peretti, questo acquedotto è entrato in funzione nel 1587, dopo soli due anni di lavoro, e terminava alla Fontana del Mosé, in Largo Santa Susanna, vicino alla Stazione Termini.
Qui, nei pressi delle Terme di Diocleziano si trovava nel Cinquecento la villa Montalto Peretti, di proprietà dello stesso papa. Che sia stata un’opera voluta dar Papa Tosto proprio per alimentare le fontane e gli orti della sua villa?
La velocità di realizzazione di questo acquedotto è dovuta anche al fatto che per costruirlo è stato ricalcato un tratto dell’antico Acquedotto Marcio (II secolo a.C.).
Passeggiando lungo il sentiero che costeggia l’acquedotto puoi notare i pilastri dell’Acquedotto Felice che inglobano i più antichi pilastri composti da grandi blocchi di tufo, radicalmente troncati dall’acquedotto moderno.
L’acqua Marcia, a differenza di quanto si potrebbe pensare dal nome, era la più buona e la più sana. Quest’acqua venne condotta a Roma da Quinto Marcio Re nel 144 a.C. con un acquedotto che per la prima volta aveva arcate sopraelevate.
L’acquedotto precedente infatti, l’Anio Vetus, del III secolo a.C., non è mai visibile perché segue un tracciato completamente sotterraneo dall’alta valle del fiume Aniene fino a Porta Maggiore, passando per l’area del Parco degli Acquedotti.
Un punto interessante per osservare i resti degli acquedotti è vicino al laghetto dietro al Casale di Roma Vecchia, dove si può vedere la sovrapposizione di tre acquedotti: l’Acqua Marcia, l’Acqua Tepula, e l’Acqua Iulia.
Questi ultimi due, a differenza degli altri, avevano le sorgenti nel territorio di Tuscolo, nell’area dei Castelli Romani.
L’Acquedotto Claudio e l’Anio Novus

Il massimo livello tecnico però è stato raggiunto con la costruzione dell’Acquedotto Claudio e dell’Anio Novus, entrambi iniziati sotto Caligola nel 38 d.C. e terminati da Nerone nel 52 d.C.
I due acquedotti partendo dalle sorgenti lungo il fiume Aniene, seguono un percorso pressoché parallelo, per poi sovrapporsi quasi all’altezza di Capannelle, poco prima del parco, fino a Roma.
Sono gli archi più alti oggi visibili, che raggiungono quasi trenta metri.
I grandi piloni e le monumentali arcate in blocchi i tufo appartengono all’Acquedotto Claudio. Sovrapposto allo speco dell’Acquedotto Claudio è possibile notare in alcuni punti quello dell’Anio Novus realizzato in laterizi.
È proprio la lunga sequenza di arcate dell’Acquedotto Claudio che ha ispirato nei secoli artisti, scrittori e registi, ed è ancora uno dei punti più suggestivi del parco.
Da questa imponente struttura sono state realizzate la diramazione che portava l’acqua alla Domus Aurea di Nerone, e quella della Villa dei Quintili lungo l’Appia Antica.
Il Fosso dell’Acqua Mariana

Dopo la caduta dell’impero romano diminuiscono anche le risorse per la manutenzione degli acquedotti, che piano piano vengono interrotti.
Nel 1122, però, la necessità di avere più acqua in città portò papa Callisto II a creare un nuovo canale sfruttando le stesse sorgenti dell’Acqua Tepula e dell’Acqua Iulia.
L’Acqua Mariana deve il suo nome a l’Ager Maranus, nome della campagna dove scorreva la prima parte del canale, per poi essere deformato successivamente in Mariana o Marrana.
Siamo ben lontani dalle grandi e imponenti strutture degli acquedotti antichi: non è altro che un fosso che portava l’acqua utile per irrigare e alimentare i mulini.
Oggi lo puoi vedere passeggiando lungo il sentiero centrale tra l’Acquedotto Felice e l’Acquedotto Claudio, fino al laghetto artificiale.
La gestione e la manutenzione era a carico della Basilica di San Giovanni in Laterano, che ne ricava anche gli introiti dai canoni per la cessione delle acque.
Inizialmente il Fosso dell’Acqua Mariana arrivava fino al Tevere, ma l’urbanizzazione della città nel XX secolo ne hanno ridotto la capacità e deviato il suo corso verso la Valle della Caffarella.
Casale di Roma Vecchia

Nel medioevo l’area del Parco degli Acquedotti assume una funzione agricola.
Le campagne intorno alle mura vengono divise in vari appezzamenti incentrati attorno ai casali agricoli.
Il Casale di Roma Vecchia si trova accanto al laghetto artificiale, tra l’Acquedotto Claudio e l’Acquedotto Marcio.
L’edificio risale al XIII secolo e includeva una cappella, ma oggi lo si può osservare solo dall’esterno.
Il toponimo “Roma Vecchia” risale al rinascimento quando questa zona, compresa tra la Villa dei Quintili e la Villa dei Sette Bassi, era talmente ricca di marmi e frammenti architettonici, che si pensava fosse un’altra antica città alle porte di Roma.
Soltanto successivamente, grazie agli scavi e alle indagini archeologiche, si è capito che si trattava di grandi residenze private nelle immediate vicinanze delle mura cittadine.
Tratto della via Latina

Prima di uscire dal Parco degli Acquedotti fermati a cercare il piccolo frammento ancora visibile dell’antica via Latina, oggi affossato, vicino al lungo tratto dell’Acquedotto Claudio.
Quello della via Latina è un tracciato percorso fin dall’età del bronzo, ma trasformato in una strada vera e propria nel IV secolo a.C., quando Roma sconfisse la Lega Latina e conquistò il Lazio meridionale.
La strada iniziava dalla Porta Capena, oggi scomparsa, lungo le antiche Mura Serviane e arrivava a Capua, dove si univa alla via Appia.
Oggi frammenti della via Latina originale si possono vedere all’interno del Parco delle Tombe di Via Latina, non lontano dagli Acquedotti, e in questo piccolo tratto quasi nascosto nel Parco degli Acquedotti.
Come la via Appia, anche la via Latina era un tracciato rettilineo, rivestito di blocchi di pietra lavica. Era previsto il doppio senso dei carri e ai lati si trovavano le crepidini, ossia marciapiedi larghi circa tre metri per parte.
Se volgi lo sguardo verso sud potrai intravedere le sagome dei Castelli Romani, là dove anticamente si trovava la città di Alba Longa, a lungo rivale di Roma.
Più o meno all’altezza di questo tratto della via Latina, nel VII secolo a.C. si trovavano le Fossae Cluiliae, ossia il confine invalicabile che separava le due città. Proprio lì, tra la via Appia e la via Latina, si svolse la leggendaria battaglia degli Orazi e Curiazi, il cui esito decretò la definitiva sottomissione di Alba Longa a Roma.
Come arrivare al Parco degli Acquedotti di Roma

Il Parco degli Acquedotti di Roma è ben servito dal trasporto pubblico.
Si può raggiungere in metropolitana linea A, direzione Anagnina.
Si può scendere alla fermata Giulio Agricola, e proseguire pochi minuti a piedi fino all’accesso dietro la chiesa di San Policarpo.
Oppure si può scendere alla fermata successiva, Subaugusta, e proseguire pochi minuti a piedi lungo viale Tito Labieno.
Per chi viene da via del Quadraro c’è un altro accesso, in fondo alla vie Alessandro Vivani.
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